Due dipinti, quasi uguali. Le differenze ci dicono come il senso del matrimonio oggi sia cambiato.
Arnolfini: un mistero per la vita
Entriamo nella casa dei coniugi Arnolfini e ci pare di conoscerla già. Sono secoli ormai che questa casa tiene aperta la sua porta al grande pubblico, secoli che viene visitata, commentata o, semplicemente, guardata. Dopo tanti secoli il dipinto, ad opera di Jan van Eyck e datato 1434, ancora fa discutere di sé. Perché mai il ricco mercante lucchese ha commissionato a van Eyck un ritratto così straordinariamente enigmatico? Le ipotesi sono diverse, tuttavia una cosa è certa: il quadro ci restituisce un‘immagine fedele della coppia e del suo valore nell‘Europa cinquecentesca. Il ricco banchiere Giovanni Arnolfini tiene per mano la giovane moglie che pare in attesa. Il gioco delle mani tra i due coniugi dice la decisione di amarsi e venerarsi per tutta la vita. «Prendo te come mia sposa e prometto di custodirti nella buona e nella cattiva sorte», sembra affermare lui con la postura della mano. L‘umile inclinazione del capo di lei attesta invece una sottomissione vereconda e affettuosa, pronta a servire il marito e i figli con dedizione e tenacia. Appare chiaro, già per la solennità quasi ieratica dei due, che per essi il matrimonio non è questione solo di sentimento o di attrazione sessuale, bensì un impegno serio per la vita e per la procreazione, nella fedeltà. La buona sorte degli Arnolfini è resa evidente dalla loro agiatezza, non ostentata ma chiara-mente espressa dalle suppellettili: il tappeto proveniente dall‘Anatolia, la pelliccia che adorna gli abiti dei due, e le arance alle finestre, frutto importato e costoso. Il riferimento alla cattiva sorte, al dolore, è presente ma espresso dentro a un’ottica di fede. Al centro del soffitto pende un candelabro a dodici braccia. Una sola candela è accesa, proprio sul capo di lui. Da questo particolare ci accorgiamo che le dodici braccia del candelabro alternano croci a candele, di modo che si contano sei candele e sei croci. Sei come i giorni della creazione di cui i coniugi, quali novelli progenitori, sono ministri. Un mistero dunque, il matrimonio, di luce e di dolore. Anche lo specchio convesso annuncia quest’alternanza di vita. Attorno alla cornice ruotano dipinti i misteri dolorosi della vita di Cristo: al centro il mistero della croce, fulcro e cardine della redenzione; dalla parte dell’Arnolfini si snodano gli episodi riguardanti Cristo vivo: Orazione nell‘orto, Cattura di Cristo, Giudizio di Pilato, Flagellazione, Salita al Calvario, Crocifissione; dalla parte della moglie, si sviluppano tutti i misteri del Cristo morto: Deposizione, Compianto, Discesa al Limbo, Risurrezione. Questo fatto, unito ad altri piccoli particolari – come ad esempio la statuetta intagliata nel pomo del letto raffigurante santa Margherita protettrice delle partorienti –, lascia supporre che la donna sia morta, o abbia rischiato di morire di parto.
Fede nella preghiera I due – a giudicare dall‘immagine riflessa nello specchio – accolgono i loro testimoni di nozze a piedi scalzi. La stanza in cui sono è il suolo sacro della loro unione ed essi, come Mosè, si tol-gono le calzature. Gli zoccoli dell‘uomo sono in primo piano e rivolti verso una finestra. Gli zoccoli rossi della donna, invece, sono in fondo, rivolti verso la parete. I primi lasciano supporre la posizione di chi attende qualcosa, i secondi sono abbandonati vicino al capezzale come di chi si è appena coricato. Tali particolari alludono al mistero di un tempo di attesa fra gioia e dolore, fra speranza e angoscia. Altri particolari alludono allo scorrere del tempo. La finestra, ad esempio, lascia intravedere un paesaggio primaverile, mentre i due coniugi recano abiti decisamente invernali. Delle sei candele, cinque sono spente, mentre una sola ancora ha da consumarsi. Che la donna sia proprio dalla parte delle candele spente e dal lato dello specchio dove sono dipinti i misteri della morte e risurrezione di Cristo, lascia intendere la sua probabile morte per parto. Riflessi nello specchio (che misura soltanto 5,5 cm) sono dipinti con grande perizia due perso-naggi, di cui uno è il pittore stesso. Sono i testimoni delle nozze, i quali diventano provviden-zialmente testimoni anche presso di noi, distanti quasi cinque secoli dagli Arnolfini. Van Eyck e l‘anonimo amico sono testimoni di una coppia che aveva consapevolezza profonda della sacralità della loro unione coniugale. Un altro invisibile testimone è un piccolo mostro intagliato nel legno, che si scorge proprio dietro le mani congiunte degli Arnolfini. È il segno del maligno che mira a distruggere le famiglie. Accanto allo specchio pende un rosario, consueto dono dello sposo alla sposa, che attesta la fede nella preghiera capace di sconfiggere il male. Tutta la casa Arnolfini trasuda della grazia che avvolge chi si consacra a Cristo nel matrimonio. In una famiglia così, anche il dolore e la morte trovano senso e la fedeltà, simboleggiata dal cagnolino ai piedi della sposa, è di casa.
Botero: dettagli che mancano Qualcuno più vicino a noi, e precisamente Botero, artista brasiliano vivente, ha realizzato più copie del ritratto degli Arnolfini. Una di queste copie ci consente di costatare come il senso del matrimonio oggi sia profondamente cambiato e come alcuni simboli, essenziali nell‘opera di van Eyck, siano stati da Botero trascurati o addirittura modificati a discapito di un appiattimento generale. Nell‘opera di Botero il candelabro ha otto candele e sono tutte spente, particolare che annulla totalmente la danza tra luci e croci e toglie il riferimento al sesto giorno. Anche in primo piano vediamo dei cambiamenti significativi e certamente voluti dall‘artista. Il cane è un bulldog, cane da guardia, e non cane da compagnia che evoca la fedeltà come il barboncino di van Eyck. L‘uomo non è scalzo, ma porta comode pantofole da casa, mentre gli zoccoli – in primo piano – sono per Botero quelli della donna. L‘allusione alla sacralità della coppia, evocato dal gesto biblico del togliersi i calzari è, dunque, totalmente assente. Qui il marito è il signore della casa, mentre la donna, con gli zoccoli abbandonati in direzione della porta di casa, sembra presa dalla febbrile tentazione di evadere, frenata solo dalla custodia del marito e del cane da guardia. Anche i riferimenti religiosi sono stati tolti: non c‘è alcuna statua lignea, né di santa Margheri-ta, né del mostro demoniaco; non ci sono le decorazioni con i misteri della vita di Cristo attor-no allo specchio, e tanto meno c’è il rosario alla parete. Siamo di fronte, ahimè, a un appiatti-mento generale dei simboli, segno dell’impoverimento subito dal sacramento del matrimonio e dal ménage coniugale in questi secoli. Il dramma si consuma tuttavia proprio dentro al riflesso dello specchio che, come in van Eyck, è il punto focale dell‘opera. Nella versione di Botero lo specchio non riflette che i due sposi. C‘è solo una porta socchiusa, segno della solitudine della coppia e allusione alla volontà di evadere dal quotidiano. Due piaghe che affliggono la famiglia, specie quella che non è sorretta dalla fede.
I due ritratti non ci parlano dunque tanto di persone reali, ma raccontano come una società e una cultura guarda alla famiglia. Il confronto fra le due opere è educativo: è necessario riap-propriarsi di quei segni, cari a van Eyck ma estranei a Botero, che ci permettono di ridare spessore e profondità alle scelta del matrimonio. La sacralità della coppia descritta da van Eyck è l’unica vera premessa per l‘accoglienza dei figli. Mentre, nella laicità di Botero, s’individua già quell’alternanza tra rifiuto della paternità e maternità e volontà di avere figli ad ogni costo. In realtà, come narra van Eyck nella sua opera, se i due non sono una cosa sola, sacra e inviolabile, qualunque figlio verrà loro dato resterà orfano e smarrito. Maria Gloria Riva, in “Milizia Mariana”, dicembre 2012, pp. 24-25