La testimonianza di Naser Shakkour, israeliano, membro del Pontificio Consiglio per la Famiglia (23-25 ottobre 2013)
Tra i membri del Pontificio Consiglio per la Famiglia, partecipanti alla recente Assemblea Plenaria del Dicastero (23-25 ottobre 2013), c’erano i coniugi Naser e Amira Shakkour, da Israele. Ci hanno donato la loro testimonianza.
Dice Naser Shakkour: «In Israele, il matrimonio è soltanto religioso, con effetti civili, ciascuno secondo la confessione di appartenenza. Per noi cattolici, è regolato dal Diritto Canonico. C’è una Corte di Giustizia civile per la famiglia, legata alle chiese, che riconosce il divorzio a chi ha avuto l’annullamento religioso e regola le questioni economiche. Anche le donne in condizioni di difficoltà, o che subiscono violenze o abusi in famiglia, si rivolgono alla Corte».
L’età media di matrimonio tra cristiani è più alta rispetto alle altre fedi, ebraica e musulmana: poco meno di 30 anni per gli uomini, 27 anni circa per le donne. La media è di meno di due figli a famiglia, con un grado di istruzione piuttosto elevato. «Questo, da un lato, è un elemento positivo, dall’altro, è spesso motivo di distacco dal resto della società. È in aumento, infatti, l’emigrazione, soprattutto verso gli Stati Uniti, per cercare lavoro e una migliore realizzazione». In Israele, convivono pacificamente ebrei, cristiani, musulmani. «I cattolici sono una minoranza, circa 160mila su 7milioni di abitanti, e hanno problemi di identità. Solo a Gerusalemme sono quasi il 50 percento. Perfino nelle scuole cristiane, non si studia la storia dei cristiani d’Israele; i cristiani sono e si sentono una minoranza, alla periferia della cittadinanza».
Il problema maggiore che i cattolici d’Israele denunciano è questo senso di solitudine, anche nei confronti della Chiesa come istituzione. «Le famiglie cristiane hanno difficoltà a fare rete tra loro, a condividere esperienze, a mettere in comune i problemi e trovare insieme soluzione. Le suore e qualche sacerdote non parlano la lingua locale, l’arabo. A volte, entriamo come stranieri nei monasteri. C’è chi sceglie per i figli nomi non subito identificabili come cristiani». In questo contesto – afferma Shakkour – «per noi, il Pontificio Consiglio per la Famiglia è come il Monte Tabor, il luogo dove ci ritroviamo insieme come una sola famiglia cristiana, fratelli e sorelle con una sola madre Chiesa. Il sito Internet del Dicastero è un po’ la nostra casa. Io e mia moglie, per esempio, ci colleghiamo ogni giorno al sito, per leggere tutto quello che viene scritto, le notizie su ciò che avviene anche in altre comunità, i temi che sono discussi, i problemi, i documenti, gli approfondimenti di esperti, per guardare le interviste video. Per noi, è molto importante, sul piano spirituale, ma anche sul piano pratico, per guidarci nella vita quotidiana, nelle scelte di ogni giorno».
Ci spiega: «Io preparo molte coppie al matrimonio, che vengono dalla Giordania, dalla Palestina, da Israele. Mi accorgo che mancano loro figure di riferimento, con cui crescere nell’esperienza matrimoniale. Mancano le guide spirituali, a cui rivolgersi per condividere i problemi quotidiani in famiglia e viverli alla luce del Vangelo, mentre ci sono molti insegnanti». Nel luogo dell’antica Galilea dove Gesù moltiplicò i pani e i pesci, c’è un bellissimo mosaico, ci riferisce Shakkour. «Gesù chiede a ciascuno di noi: “Di cosa hai bisogno?”, e poi, dà il pane e il pesce. Così considero il mio impegno personale di fede: un pezzo di pane, che la Grazia di Dio moltiplica».