Il Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Vincenzo Paglia, ha tenuto la lezione inaugurale, martedi 2 luglio, del Corso estivo su “Bioetica, crocevia tra Fede, Ragione e Scienza” (dal 1 al 12 luglio) al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Il titolo della lezione: “L’Anno della Fede e la Bioetica”.
«Tra le molte suggestioni che suscita il tema – ha detto il Presidente del nostro Dicastero − vorrei cogliere anzitutto quella legata a quell'evento straordinario che è stato il Concilio Vaticano II », che è stato «una sorta di "bussola" per il nuovo Millennio (come la definì Giovanni Paolo II), sia per la Chiesa che per la società contemporanea, per il cosiddetto mondo post-secolare, segnato costantemente caratterizzata dal dibattito bioetico, che sovente si trasforma, secondo l'arguta interpretazione di Foucault, in uno scontro biopolitico».
Le questioni fondamentali della Bioetica della vita, afferma mons. Paglia, precedono l’utilizzo del termine stesso “bioethics”, usato per la prima volta da Van Rensselaer Potter, nel 1970. Il dibattito sui temi di bioetica segna una svolta, nella prospettiva cristiana, con la Costituzione pastorale “Gaudium et Spes”, che affrontò «questioni concrete del mondo contemporaneo», quali, appunto, la scienza e la cultura, il matrimonio e la famiglia, l’ordine sociale, il lavoro, l’economia, la pace, ponendo al centro e a fondamento di ogni discussione l’essere umano, la persona. «Fu "l’uomo, dunque, ma l’uomo integrale, nell’unità di corpo e anima, di cuore e coscienza, di intelletto e volontà", che costituì il cardine». La dignità dell’uomo è «derivante da Dio e fondata in Gesù Cristo», in «un'antropologia unitaria, che vede l'uomo non come una monade isolata, ma "come un essere dialogico, in relazione con Dio e con i suoi simili"», così come ribadito nella Dichiarazione “Dignitatis Humanae”.
Il dialogo amichevole della Chiesa con il mondo contemporanea incontra presto degli ostacoli, in particolare, nella concezione del matrimonio e della famiglia, come testimonia l’Enciclica “Humanae Vitae”. «La pubblicazione della cosiddetta "Enciclica della pillola" fa emergere, d'improvviso e violentemente, tutti i profondi mutamenti dei codici simbolici e di condotta morale che erano ormai intervenuti, negli ultimi due decenni, in tutte le società occidentali». E così, «la secolarizzazione investì, progressivamente, non solo la sfera religiosa, ma anche la morale pubblica e tutte le più importanti culture politiche otto-novecentesche», in un «processo di “disincanto del mondo”», che porta all’affermazione di «una cultura sempre più incentrata sulla realizzazione individualistica».
Contestualmente, acquista sempre più seguito «una ideologia tecno-scientista, che presenta a tratti forti inclinazioni nichiliste»; una sorta di “esistenzialismo scientifico” che assume spesso le forme di «un fideismo acritico nei confronti del sapere tecnico-scientifico, che spesso si combina con un indifferentismo religioso se non un vero e proprio tenace opposizione alla fede in nome della razionalità ». Si diffonde una sorta di devozione alla scienza che si presenta come esaltazione della razionalità, ed è alimentata dai presunti “successi” della tecnica. La “fecondazione artificiale”, per esempio, mette in discussione il naturale rapporto genitori/figli, padre/madre e sembra preparare al “Mondo nuovo” raccontato da Aldous Huxley, «in cui la riproduzione umana, che avviene "in serie" secondo il modello fordista, è completamente extrauterina e gli embrioni vengono prodotti e fatti sviluppare in apposite fabbriche». C’è, insomma, una propensione sociale a ciò che Jacques Ellul definisce lo “slittamento di giudizio”: «la tendenza tipica delle società tecnologiche ad accettare sempre in modo acritico le innovazioni tecniche, anche se, alla nascita, sono oggetto di condanna generale », in un “politeismo delle prospettive morali”, che comprende il relativismo dell’identità sessuale, nella teoria del “gender”, mentre la famiglia diviene oggetto di attacco in quanto concepita come strumento di costrizione e di repressione dell’individuo. Il «momento estremo» di questa destrutturazione e frammentazione critica della famiglia è rappresentato dal volume dello psichiatra inglese David Cooper “La morte della famiglia”.
È questo l’humus culturale in cui oggi la Chiesa è chiamata a condurre la propria missione di evangelizzazione, di annuncio e difesa della famiglia «”santificata dal Cristianesimo”, come cellula fondamentale della società in cui si afferma l'amore e la solidarietà tra le differenti generazioni che la compongono». C’è bisogno di «un “nuovo umanesimo” – ribadisce mons. Paglia −, che possa permettere la costruzione di un nuovo momento d'incontro tra laici e credenti, e che rimanda irrevocabilmente a quel rapporto d'amore, gratuito e unilaterale, tra Dio e l'uomo». E l'Anno della Fede, che si conclude il 24 novembre 2013, nella Solennità di Cristo Re dell’Universo, rimarca questo incontro d’amore nella storia dell'umanità.